IL RECUPERO DEI VECCHI MOBILI

Talvolta mi capita di visitare quei grandi magazzini dove vendono i mobili e mi meraviglio nel vedere i prezzi. Articoli etichettati come fatti in legno di rovere o noce o ciliegio a prezzi molto bassi. Considerando quanto costa il legno massello e quanto è aumentato oggigiorno qualcosa non quadra.
E allora, guardando più da vicino, scopro che non si tratta di legno massello ma di multistrato, truciolare o MDF rivestito, o per meglio dire nobilitato, con piallacci di rovere, noce, ciliegio, ecc.

Questo modo di costruire é tipico dei tempi moderni ed è curioso il fatto che molte persone preferiscano spendere soldi in un mobile nuovo ma di scarsa qualità anziché comprarne uno vecchio in vero legno massello, costruito in un’epoca in cui gli artigiani facevano ancora i mobili rispettando i canoni tradizionali della falegnameria amanuense, quindi con incastri a coda di rondine, tenone e mortasa e via discorrendo. Sicuramente è una questione di gusti personali e quasi sempre si è orientati a comprare un oggetto non perché di qualità o fatto bene ma semplicemente perché ci piace. Ed ecco spiegato perché nei mercatini dell’usato rimangono invenduti mobili di ottima fattura, in legno massello, proposti a poco prezzo, magari non in buone condizioni ma che con un poco di lavoro sarebbe possibile riportare all’antico splendore, spendendo molto meno rispetto all’acquisto di uno nuovo.

Di recente mi è capitato di dover recuperare una credenza in abete anni 60/70, riverniciata con due mani di vernice poliuretanica, una madia in abete, sicuramente più antica e mai verniciata e un tavolinetto, anch’esso degli anni 60/70 in legno di ciliegio, impiallacciato e verniciato.

La credenza presentava ottime soluzioni costruttive ma la finitura lasciava molto a desiderare, anche se all’epoca andava molto di moda. Il committente mi ha chiesto di riportare a legno grezzo sia la credenza che la madia. Quest’ultima non aveva alcuna finitura se non la patina che il tempo gli aveva regalato. Una volta riportati i mobili a legno grezzo, una mano di finitura protettiva, scurita con le aniline, avrebbe donato un’estetica più in linea con i nostri tempi.


Anzitutto una premessa. Per effettuare i lavori di sverniciatura, specialmente quando si usa il gel, per la levigatura con rotorbitale e in generale quando si impiegano prodotti chimici, indossiamo sempre i guanti grossi da lavoro, mascherina e occhiali protettivi e, se possibile, lavoriamo all’aperto o comunque in ambienti areati. Io, usando tutti questi accorgimenti, ero tranquillo, sapendo di lavorare in tutta sicurezza.

Il grosso del lavoro è stato quello di rimuovere la doppia mano di vernice poliuretanica presente sulla credenza. Ovviamente scartavetrare a mano sarebbe stata un’impresa impossibile, vista anche la durezza della finitura utilizzata. Fondamentale è stato l’acquisto di un gel sverniciatore realmente efficace. Purtroppo, a causa di alcuni divieti, non esistono più i gel sverniciatori di una volta, che erano molto più performanti. Dopo aver provato infruttuosamente un gel acquistato in un Brico, di qualità scadente, ho acquistato in ferramenta questo sverniciatore gel della multichimica che si è rivelato un prodotto veramente ottimo. Dopo pochi minuti dall’applicazione del gel, la prima mano di vernice poliuretanica ha cominciato a raggrinzire e con l’ausilio di una spatola e delle rasiere sono riuscito a rimuovere il grosso della finitura superficiale. Ci sono volute comunque 5 applicazioni di gel, consumando in tutto 3 barattoli di sverniciatore, prima di riuscire a rimuovere tutto il doppio strato di vernice. Il primo strato era uno smalto bianco, molto ostinato da rimuovere, mentre sotto era presente un altro strato di vernice color verde acqua.

Riportata a legno, con l’aiuto di una levigatrice rotorbitale, dotata di dischi abrasivi a partire dalla grana 40 e successivamente 80, 120 e 240 sono riuscito ad eliminare gli ultimi residui di vernice e a levigare a sufficienza la credenza. Raccomando comunque di usare la rotorbitale ad una velocità media e mai troppo alta, per non surriscaldare il legno. Per rimuovere la vernice negli angoli mi sono invece aiutato con la levigatrice a delta. Per le modanature del mobile sono dovuto intervenire a mano, con dei bastoncini curvi e con lana d’acciaio, per non correre il rischio di rovinare le forme delle curve. Si è trattato di un lavoro che ha portato via parecchie ore di tempo.

Durante la lavorazione non sono mancate alcune riparazioni. Un ripiano della vetrina era mancante di un sostegno, che ho inserito. La base della credenza mancava di un pezzetto di modanatura che ho ricostruito, cercando di riprodurne la forma. La modanatura superiore si stava staccando in più punti e allora, dove é bastato, sono intervenuto con la colla e dove non sufficiente ho rinforzato la struttura con dei listelli di legno non visibili esternamente. I piedi a cipolla della credenza erano di altro legno, più duro, ed erano tarlati. Ho passato l’antitarlo e sigillato in sacchetti di plastica per due settimane. I listelli della base interna della credenza erano schiodati ed ho preferito rimetterli in sede con l’ausilio delle viti.


L’idea era quella di ottenere un legno il più chiaro possibile. Per farlo, una volta levigata tutta la superficie, ho utilizzato una miscela di acqua ossigenata a 130 volumi, fatta preparare in farmacia, diluita in poca ammoniaca, circa il 5%, e spennellato abbondantemente tutta la superficie, ripetendo il trattamento un paio di volte. Il risultato è stato buono, il legno si è schiarito molto, virando decisamente al bianco.

Come finitura protettiva ho applicato questo buon prodotto della GORI, nella versione 050 incolore satinato, unendolo a delle aniline in polvere color teak, disciolte in poco alcool, che gli hanno conferito una tonalità particolare, così come desiderato.

I vetri erano graffiati e si è preferito sostituirli. La rimozione è stata semplice. É bastato rimuovere i listelli interni che li mantenevano fermi, cercando di non romperli e di riutilizzare gli stessi chiodini, mettendoli nella stessa sede in fase di installazione dei vetri nuovi.

La parte superiore della credenza era semplicemente appoggiata sulla parte inferiore, esponendola al rischio ribaltamento, in quanto sprovvista degli appositi pioli di allineamento e blocco. É bastato crearne due nuovi ed il problema si è risolto.


La madia, seppur più vecchia, necessitava di molti meno interventi. Non presentava finiture da sverniciare, rotture, né tarli ma solo l’ingiallimento dovuto al tempo. É bastato levigare a fondo con la rotorbitale e poi fare lo stesso trattamento sbiancante visto sopra per poi applicare la stessa finitura protettiva satinata con aggiunta di aniline color teak. A causa dei tanti anni di esposizione all’aria, senza protezioni, la madia non è venuta così chiara come la credenza, ma penso che questo sia anche il bello del legno vecchio.



Il tavolinetto invece era ridotto veramente male. Il piano era stato rivestito con un piallaccio, incollato e inchiodato, che in molti punti si era allentato e rovinato. Gli incastri delle gambe, a tenone e mortasa, si erano scollati e due traverse si erano staccate dalla sede. In molte parti il legno era scheggiato e la finitura era completamente da rifare. Come prima cosa ho separato il piano dalla base e rimosso tutta l’impiallacciatura. É venuta via con il solo aiuto delle pinze, di un leverino, di un cacciavite e di una spatola. Il problema è stato rimuovere del tutto i chiodini dal legno. Alcuni di questi ho preferito ribatterli dentro al legno con un punteruolo anziché rimuoverli, per non compromettere il piano stesso. Il piano era in legno di ciliegio, ed ho preferito trattarlo con antitarlo prima di procedere ulteriormente. Ho spennellato tutta la superficie e sigillato in un sacco per due settimane.

Le gambe erano unite alle traverse con incastri tenone e mortasa e rinforzate nell’unione con dei chiodi, alcuni dei quali fuoriusciti dal legno. Ho quindi rimosso dapprima i chiodi sporgenti e poi incollato di nuovo gli incastri delle gambe. Ho morsettato tutta la struttura rinforzando internamente l’unione, inserendo delle staffette a L. Durante questa fase ho inserito dei distanziatori per mantenere divaricate e alla giusta distanza le gambe del tavolo. Successivamente ho stuccato con stucco per legno bianco le parti che si erano scheggiate.


Per quanto riguarda il piano del tavolo, terminato il trattamento antitarlo, ho piallato leggermente e proceduto a levigare con carta abrasiva fino alla 400 per poi finire applicando la solita finitura satinata protettiva della GORI. Sulla struttura del tavolo ho applicato due mani di smalto color bianco e inserito dei feltrini ai piedi. Ho infine riassemblato la struttura al piano, inserendo al di sotto del tavolino delle staffette a L. Il tavolinetto era molto particolare per la sua forma, piccolo, stretto e con gambe alte ed è valsa la pena procedere a sistemarlo.


Lavorando a stretto contatto dei pezzi ho imparato molte cose sul come venissero costruiti i mobili un tempo. I cassetti con le code di rondine, gli sportelli con gli incastri a tenone e mortasa, il retro del mobile in listelli, le modanature applicate con i chiodini, ecc. Penso che sotto questo aspetto il restauro sia il miglior modo per conoscere la struttura di un mobile.


Nel mio caso però non si é trattato di un vero e proprio restauro. Direi forse più propriamente di un recupero di mobili altrimenti destinati alla discarica. Io non sono un professionista del settore ma posso affermare che con una minima spesa é possibile dare una seconda possibilità a questi mobili, anche trasformandoli nel colore e inserendo alcune variazioni stilistiche. Avremo ottenuto un mobile in legno massello, costruito a regola d’arte, quando ancora si costruivano mobili degni di tale nome e fatto per durare una vita.




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